Il provvedimento che oggi si segnala ai lettori è una sentenza del Tribunale di Viterbo emessa in materia di pignoramento immobiliare.Trattasi in particolare di una sentenza del 10 ottobre scorso avente ad oggetto il caso di una espropriazione promossa dal creditore particolare (ossia personale) di uno dei coniugi.
Il Giudice dell'esecuzione di Viterbo, argomenta il suo provvedimento sulla scorta delle motivazioni a sua volta utilizzate in un caso analogo, dalla Corte di Cassazione.
Deve mettersi in luce che il disposto normativo che viene in gioco nel caso di specie è l'art. 189 c.c., 2° comma c.c., secondo cui “i creditori particolari di ciascun coniuge possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato”.
Sin dall'entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia del 1975, vi furono numerosi dubbi interpretativi posti in ordine alla succitata disposizione. Tuttavia, nonostante il lasso temporale trascorso, la Corte di cassazione sino al 2013, non aveva ancora avuto occasione per pronunciarsi sull'argomento. Sebbene, però, un suo intervento fosse certamente auspicabile, in ragione del superamento dello stato di grave incertezza in cui versavano gli interpreti della materia.
Tale intervento lo si è avuto per la prima volta, a distanza di quasi trent'anni dall'entrata in vigore della disposizione de qua, con la sentenza n. 6575 del 2013 della Corte di Cassazione, utilizzata dal Giudice del Tribunale di Viterbo per l'argomentazione della sentenza oggi in commento.
Si tratta di una pronuncia che merita di essere salutata con favore, in quanto, rappresenta un punto di riferimento per tutti gli interpreti e soprattutto per i giudici di merito, in attesa che sopraggiunga un ancor più auspicabile intervento legislativo volto a correggere talune ambiguità del testo normativo vigente. L'intero ragionamento della Suprema Corte muove dalla incondizionata adesione alla ricostruzione dogmatica della comunione legale come comunione “senza quote”.
Da tale ricostruzione la Suprema Corte ha escluso che il pignoramento promosso dal creditore personale di un singolo coniuge possa avere ad oggetto “la quota” del coniuge obbligato idealmente riferita sia all'intero patrimonio comune, sia ai singoli beni della comunione frammentariamente considerati.
Escluso, dunque, che il pignoramento possa avere ad oggetto la “quota” del coniuge debitore, l'unica via che rimane logicamente percorribile è quella di ritenere che il pignoramento promosso dal creditore personale del coniuge venga a colpire i singoli beni della comunione nella loro interezza.
Ad avviso di chi scrive, si tratta di una conclusione pienamente condivisibile, in quanto, se si aderisse ad altre opzioni interpretative, si finirebbe inevitabilmente per riversare sulla procedura esecutiva quelle insuperabili difficoltà, di ordine pratico, legate alla concreta determinazione dell'intero patrimonio comune, con il rischio più che concreto di vedere l'esecuzione paralizzata, in attesa di giudizi incerti ed aleatori volti ad accertare l'esatto valore della quota del coniuge debitore.
Per quanto concerne l'altra metà del ricavato, la Corte ha ritenuto che essa debba essere attribuita in titolarità esclusiva al coniuge non debitore, escludendo, invece che essa possa essere restituita lal comunione.
Le succitate conclusioni sono state utilizzate dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale Civile di Viterbo, il quale ha statuito che: “secondo l'interpretazione giurisprudenziale prevalente, la comunione legale tra i coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale essi sono entrambi solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni che la compongono e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata – a differenza della comunione ordinaria- alla tutela della famiglia piuttosto che della proprietà individuale”.