La presente rassegna ha lo scopo di analizzare quanto statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 7126 del 12 marzo 2021, nell'ambito di una vertenza in materia di responsabilità sanitaria.
Nel caso di specie, il padre, quale legale rappresentante della figlia minore, agiva in giudizio nei confronti dell'Azienda U.S.L. di Teramo al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla figlia a seguito di trattamenti sanitari inadeguati a cui era stata sottoposta presso la divisione di odontoiatria dell'Ospedale Civile.
Il Tribunale di Teramo rigettava la richiesta avanzata dal genitore, pertanto quest'ultimo ricorreva innanzi alla Corte d'Appello dell'Aquila la quale, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva parzialmente la domanda proposta dall'appellante.
In ragione dell'accoglimento parziale della stessa, padre e figlia, divenuta maggiorenne, proponevano ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte ha osservato che il Giudice di secondo grado, respingendo la pretesa dell'attrice di ottenere il risarcimento del danno da invalidità temporanea per tutto il periodo in cui era stata sottoposta a cure odontoiatriche, liquidando esclusivamente il danno da inabilità temporanea per i quaranta giorni del suo ricovero ospedaliero, aveva violato il principio di diritto secondo cui la liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psico-fisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e permanente.
La Corte di Cassazione ha precisato, infatti, che l'invalidità permanente è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo abbia riacquistato la sua completa validità con stabilizzazione dei postumi.
Pertanto, l'esistenza di una malattia in atto e l'esistenza di una invalidità permanente non sono tra loro compatibili: fintanto che dura la malattia, permane uno stato di invalidità temporanea anche se non vi è ancora una invalidità permanente.
Nella specie, il periodo in cui la ragazza era stata sottoposta al trattamento odontoiatrico/ortodontico finalizzato a contenere e stabilizzare i postumi riportati a seguito dell'evento dannoso, avrebbe dovuto essere preso in considerazione ai fini della liquidazione il danno da invalidità temporanea, dovendo l'incidenza dell'invalidità permanente essere valutata solo all'esito della stabilizzazione della sua condizione, determinatasi con la conclusione del trattamento in questione.
Nella valutazione di tale pregiudizio, infatti, avrebbe dovuto considerarsi sia il profilo dell'inabilità temporanea determinata dai trattamenti, per tutta la loro durata, sia il profilo delle eventuali conseguenti sofferenze morali o psicologiche patite dalla danneggiata a causa degli stessi.
Il Giudice di secondo grado, invece, specifica la Corte, non ha tenuto conto della situazione in cui la danneggiata si è trovata nel corso del periodo in cui è stata costretta a sottoporsi a tali trattamenti.
Ciò posto, la Suprema Corte, con l'ordinanza summenzionata, accogliendo il ricorso proposto, ha statuito che: “La liquidazione del danno biologico deve tener conto della lesione dell'integrità psico-fisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente. Quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi, mentre, ai fini della liquidazione del danno da invalidità temporanea, laddove il danneggiato si sia dovuto sottoporre a periodi di cure, necessarie per conservare o ridurre il grado di invalidità residuato al fatto dannoso e/o impedire il suo aumento, gli va riconosciuto un danno da inabilità temporanea totale o parziale per tali periodi, inteso come privazione della capacità psico-fisica in corrispondenza di ciascun periodo e in proporzione al grado effettivo di inabilità sofferto, dovendosi tenere anche conto nella liquidazione complessiva del danno non patrimoniale delle relative sofferenze morali soggettive, eventualmente da egli patite negli indicati periodi.”