Il lavoratore in malattia può chiedere le ferie per evitare di sforare il periodo di comporto.

18/2/2021 15:42:58
di Avv. Valentina Marchesano - News
Il lavoratore in malattia può chiedere le ferie per evitare di sforare il periodo di comporto.

Con la rassegna odierna, si vuole segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 19062 del 14 settembre 2020, si è pronunciata in materia di licenziamento.

Nel caso di specie, una lavoratrice era stata collocata dalla società datrice di lavoro in una sede lontana dalla propria abitazione, con assegnazione di mansioni che portarono al peggioramento delle sue condizioni di salute.

La donna fu dunque costretta ad assentarsi dal posto di lavoro per malattia, la quale si prolungò quasi sino all'esaurimento del periodo di comporto.

Per tale ragione la dipendente chiese dunque un periodo di ferie di venti giorni, che la datrice di lavoro le accordò invece per un solo giorno.

Nonostante ciò, la lavoratrice prolungò comunque i giorni di ferie e per tale ragione la società, ritenendo ingiustificate le successive assenze, licenziava la stessa per giusta causa.

La donna proponeva dunque ricorso il quale veniva respinto sia dal Tribunale di Potenza che dalla Corte d'Appello di Potenza: in entrambi i gradi di giudizio venne infatti precisato che la stessa era consapevole delle plurime assenze ingiustificate sul luogo di lavoro.

La dipendente proponeva dunque ricorso in Cassazione, lamentando la violazione degli articoli 2110 e 2119 c.c., oltre che dell'art. 173 CCNL commercio, deducendo di aver giustificato le proprie assenze mediante certificazione medica e di pronto soccorso, prodotta contestualmente alla richiesta di un periodo di ferie in prossimità dell'esaurirsi del periodo di comporto.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la censura affermando che le assenze risultavano giustificate.

Sulla scorta di quanto statuito dal più recente indirizzo di legittimità (C. Cass. Sent. n. 5078/2009; C. Cass. Sent. n. 29317/2008; C. Cass. Sent. n. 1774/2000; C. Cass. Sent. n. 6043/2000), deve ritenersi prevalente l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Ciò posto, grava quindi sul datore di lavoro dimostrare di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore al fine di evitare la possibile perdita del posto di lavoro di quest'ultimo per scadenza del periodo di comporto.

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Potenza in quanto il Giudice del gravame non aveva considerato che, al fine di evitare il licenziamento, l'ordinamento, in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, avrebbe imposto alla società, ponderati i contrapposti interessi, di venire incontro alla richiesta della donna.

In forza dei suesposti principi la Suprema Corte, con l'ordinanza suindicata, ha dunque statuito che: “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, in modo da sospendere il decorso del periodo di comporto e conservare l'integrità del rapporto di lavoro.

A tale facoltà non corrisponde un obbligo del datore di lavoro di accordare le ferie richieste ma occorrono ragioni organizzative di natura ostativa per il rifiuto.

In caso contrario, il licenziamento è illegittimo.”

La pronuncia in commento richiama infatti i principi affermati dalla Suprema Corte con la Sentenza n. 27392/2018 con la quale ha stabilito che: “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive.”

Per tale ragione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso promosso dalla lavoratrice e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Salerno.