Con la rassegna odierna si vuole segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione, l'ordinanza n. 24266 del 3 novembre 2020, in tema di recesso dal contratto di locazione.
Nel caso di specie, il Tribunale di Genova, a seguito di ricorso per ingiunzione promosso dal locatore, ingiungeva ai conduttori il pagamento dei canoni di locazione relativi ad un immobile ad uso abitativo.
I conduttori proponevano opposizione sostenendo che il contratto di locazione si era risolto, essendo intervenuto recesso per gravi motivi.
Il Tribunale non riteneva valevoli di essere qualificati come gravi motivi quelli indicati nella disdetta dai conduttori, ossia motivi afferenti la sfera lavorativa di questi ultimi.
Pertanto il Tribunale di Genova riteneva ingiustificato il recesso dei conduttori.
Avverso la sentenza di primo grado, i conduttori soccombenti proponevano impugnazione innanzi alla Corte d'Appello di Genova, sostenendo che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto considerare quali gravi motivi le ragioni di lavoro poste a base della disdetta da loro inviata.
Il Giudice del gravame rigettò l'appello proposto dai conduttori i quali ricorrevano dunque in Cassazione.
La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, sulla scorta di quanto statuito dalla L. n. 392/1978 il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi, da comunicarsi con lettera raccomandata.
La Suprema Corte specificava, inoltre, che tale normativa è derivazione diretta del recesso unilaterale disciplinato dall'art. 1373 c.c., il quale inquadra il recesso unilaterale non convenzionalmente convenuto come deroga eccezionale al principio secondo il quale tale rapporto può essere sciolto solo per concorde volontà delle parti.
Detta deroga è ammessa laddove sussistano gravi motivi che investono la posizione del conduttore.
E' stato infatti più volte precisato dalla Giurisprudenza di legittimità (C. Cass. Sent. n. 6895/2015; C. Cass. Sent. n. 16110/2009) che ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, è sufficiente che egli manifesti, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, al locatore il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l'onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato.
Il recesso del conduttore, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce infatti effetto per il solo fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest'ultimo, circa l'esistenza o rilevanza dei motivi addotti.
L'eventuale contestazione del locatore circa l'inesistenza dei “giusti motivi” invocati dal conduttore non introduce un'azione costitutiva finalizzata all'ottenimento di una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giustificati motivi invocati dal conduttore.
Nel caso di specie, ha stabilito la Corte, si trattava di un recesso titolato, che non poteva prescindere dalla specificazione dei motivi, in quanto ineriva al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e rispondeva alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo.
Alla necessità dell'indicazione, nella dichiarazione di recesso, dei motivi posti a fondamento dello stesso dalla parte conduttrice non può corrispondere l'onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica degli stessi, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.
Pertanto, precisa la Corte, era necessario verificare la presenza di eventuali contestazioni avanzate dai locatori ai gravi motivi addotti dai conduttori nella lettera di recesso.
Per tale ragione, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza summenzionata, ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rimesso la causa alla Corte d'Appello di Genova.