Legittimo il licenziamento del lavoratore che si assenta senza motivo dopo la malattia.

14/5/2020 16:13:54
di Dott.ssa Martina Rubini - News
Legittimo il licenziamento del lavoratore che si assenta senza motivo dopo la malattia.

Con l'odierna rassegna si vuole fare presente al lettore quanto statuito dalla Corte di Cassazione, con Sentenza n. 7566/2020: “non è consentito al lavoratore – che va perciò licenziato - di astenersi dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza, avendo superato il periodo di comporto: presentazione che è momento distinto dall'assegnazione alle mansioni, in quanto diretto a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell'esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell'espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all'interno dell'organizzazione di impresa.”

Nel caso oggetto della vertenza menzionata, una lavoratrice si era collocata autonomamente in ferie alla scadenza del periodo di comporto, senza formulare alcuna richiesta di autorizzazione al loro godimento.

La Corte di Appello di Napoli aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale era stata respinta la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente, a seguito di assenze ingiustificate dal lavoro di quest'ultima perpetrate per diversi giorni consecutivi.

Avverso la Sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli la lavoratrice proponeva ricorso per Cassazione, adducendo i motivi che di seguito si espongono.

Con il primo motivo, la ricorrente sottolineava l'errore commesso dalla Corte di impugnazione per aver quest'ultima ritenuto che il licenziamento trovasse fondamento e giustificazione anche in riferimento a giorni di assenza contestati con lettere precedenti.

Con il secondo motivo la lavoratrice riteneva giustificata la sua assenza dal lavoro per non essere stata sottoposta, prima del suo rientro sul luogo di lavoro, a visita medica.

La ricorrente censurava dunque la decisione della Corte d'Appello la quale aveva invece ritenuto ingiustificata la sua assenza dal lavoro: per la Corte d'impugnazione, infatti, nel caso di specie, la lavoratrice, in ragione della mancata sottoposizione a visita medica preventiva, avrebbe potuto rifiutarsi di eseguire la mansione assegnatale, ma non già assentarsi dal luogo di lavoro.

Con il terzo motivo la ricorrente deduceva violazione dell'articolo 41, comma 2, lettera e-ter, Dlgs 81/2008, il quale sancisce come il lavoratore, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, debba essere sottoposto a visita medica precedente alla ripresa del lavoro, al fine di verificare l'idoneità dello stesso allo svolgimento della mansione.

La ricorrente contestava infatti la sentenza impugnata per avere il Giudice dell'impugnazione erratamente ritenuto che presupposto per l'applicazione della disposizione menzionata fosse la presenza in azienda della lavoratrice, mentre dal tenore letterale della disposizione summenzionata si desume come il reingresso nel sistema produttivo del dipendente, che per motivi di salute sia rimasto assente per un periodo di oltre sessanta giorni consecutivi, debba essere necessariamente preceduto dall'effettuazione della visita medica.

La Suprema Corte ha considerato infondati i motivi esposti dalla ricorrente.

Ha innanzitutto dichiarato l'assenza del vizio di ultrapetizione della Corte d'Appello di Napoli, il quale si presenta ogniqualvolta il Giudice decide su questioni che non sono oggetto del giudizio o che vanno oltre le richieste formulate dalle parti.

Detto vizio non si era verificato nel caso oggetto della vertenza menzionata, non avendo la Corte d'impugnazione fondato la propria decisione sulle lettere di contestazione inviate alla lavoratrice negli anni precedenti il licenziamento, bensì solo menzionato detti richiami: la Corte d'Appello, dunque, non aveva oltrepassato l'oggetto del giudizio e per questa ragione il Giudice di legittimità ha dichiarato infondato il primo motivo di ricorso esposto dalla ricorrente.

Ha poi considerato parimenti infondati il secondo e il terzo motivo esposti dalla lavoratrice/ricorrente in quanto l'articolo 41, comma 2, lettera e-ter, Dlgs 81/2008 summenzionato, deve essere interpretato nel senso che la ripresa del lavoro, rispetto alla quale la visita medica deve essere precedente, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un assenza per motivi di salute prolungata per oltre sessanta giorni, alla medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni per le quali sia necessario compiere una verifica di idoneità diretta ad accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psico-fisica.

In ragione di ciò, il lavoratore, dopo un periodo di malattia protratto per oltre sessanta giorni può, in assenza di visita medica, astenersi dall'eseguire la prestazione dovuta ex articolo 1460 c.c..

Non è invece consentito al lavoratore di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza.

E', infatti, principio consolidato in giurisprudenza (C. Cass. Sent. n. 21385/2004; C. Cass. Sent. n. 5521/2003), quello secondo il quale: “il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattia in ferie, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con scadenza del comporto.

Tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentono di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita .”

Sulla scorta delle motivazioni sopra esposte, la Corte di Cassazione, con la Sentenza summenzionata, ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice/ricorrente e considerato legittimo il licenziamento della stessa.