PENSIONE INVALIDI CIVILI TOTALI: LA CORTE COSTITUZIONALE HA SANCITO CHE € 285,66 MENSILI SONO INSUFFICIENTI A SODDISFARE LE ESIGENZE PRIMARIE DI VITA, COSI’ INNALZANDO A € 516,46 L’IMPORTO MENSILE.

1/7/2020 12:00:00
di Avv. Marika Anita Lucca - News

Secondo il Giudice delle Leggi, le pensioni di invalidità da € 285,66 mensili sono anticostituzionali e devono ritenersi manifestamente inadeguate a garantire a persone totalmente inabili al lavoro il c.d. mantenimento del minimo vitale, diritto costituzionalmente tutelato dall’art. 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.



Per tali motivi, la Corte Costituzionale ha disposto che debba essere assicurato l’incremento della pensione di inabilità fino ad € 516,46 mensili a tutti gli invalidi civili totali che abbiamo compiuto i 18 anni e che non godano di redditi su base annua pari o superiori ad € 6.713,98, senza attendere il raggiungimento del 60esimo anno di età come attualmente previsto ex lege (art. 38, comma 4, L. 28.12.2001, n. 448).

Ciò è quanto è stato stabilito dalla Corte Costituzionale all’esito della camera di consiglio svoltasi il 23 giugno scorso, come diramato dall’Ufficio Stampa della stessa.

In attesa del deposito della sentenza, da un precedente comunicato del 17 giugno scorso del medesimo Ufficio Stampa, con cui è stata resa nota l’agenda dei lavori del 23 e 24 giugno scorso, è dato reperire quanto segue.

La pronuncia in commento trae origine da due distinte questioni di legittimità costituzionale in materia di pensioni d’inabilità civile sollevate lo scorso anno dalla Corte d’Appello di Torino, per violazione dell’art. 38 (diritto al mantenimento e all’assistenza sociale per inabili totali al lavoro) e dell’art. 3 (principio di uguaglianza) della Costituzione.

Le due questioni succitate avevano rispettivamente ad oggetto l’una la censura dell’articolo 12, primo comma, della legge 30 marzo 1972, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) e l’altra dell’articolo 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)”).

La prima delle due disposizioni censurate riconosce ai mutilati e invalidi civili di età superiore a 18 anni, dei quali sia stata accertata una totale inabilità lavorativa, la concessione della pensione di inabilità.

L’importo della pensione d’invalidità, originariamente fissato nella misura delle vecchie € 234.000 mila lire annue, è stato elevato, nel tempo, attraverso specifici provvedimenti legislativi ed è soggetto a perequazione automatica, ed oggi è attualmente fissato in € 285,66.

La stessa disposizione viene censurata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione per violazione del principio di uguaglianza, ponendo a confronto l’importo della pensione di inabilità, corrisposta agli inabili a lavoro di età compresa tra i 18 e i 65 anni, e l’importo dell’assegno sociale corrisposto ai cittadini di età superiore a 66 anni in possesso di determinati requisiti reddituali, meno favorevoli di quelli di riferimento per il riconoscimento della pensione di inabilità.

La Corte d’Appello di Torino, considerata la sostanziale assimilabilità dei due benefici, ha censurato la normativa succitata, ritenendo irragionevole il riconoscimento al soggetto inabile al lavoro infrasessantacinquenne di un trattamento sensibilmente inferiore a quello dell’assegno sociale nonostante la comune situazione di bisogno determinata dalla inabilità al lavoro.

La seconda disposizione censurata, l’art 38, comma 4, della legge n. 448 del 2001, dispone la concessione, in presenza di determinate condizioni reddituali, di benefici incrementativi dei trattamenti riconosciuti, tra gli altri, agli invalidi civili totali di età superiore a sessanta anni.

 Anche tale disposizione, a parere della Corte d’Appello di Torino, risultava irragionevole e in contrasto con gli articoli 3 e 38, primo comma della Costituzione con particolare riguardo alla situazione di quegli invalidi civili che, anteriormente al compimento del sessantesimo anno di età, si trovano in condizioni di gravissima disabilità e privi della benché minima capacità di guadagno.

La Corte Costituzionale, sulla scorta delle motivazioni di cui alle premesse, in accoglimento delle censure sollevate, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle succitate norme poiché in contrasto con i disposti costituzionali di cui all’art. 3 e 38.

La Corte ha stabilito che la propria pronuncia non avrà effetto retroattivo e dovrà applicarsi soltanto per il futuro, a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale.

 Ad ogni modo, si ritiene alquanto probabile che si assisterà alla concreta attuazione del suddetto innalzamento dell’importo stabilito solo in occasione della più ampia riforma del sistema pensionistico che l’esecutivo riferisce essere in programma per il prossimo anno.