Con l'odierna rassegna si vuole fare presente al lettore come la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 33133 del 16 dicembre 2019, ha statuito che: “la categoria dei dispositivi di protezione individuale, costituita dai prodotti o indumenti che hanno la funzione di salvaguardare la persona che li indossi o li porti con sé contro uno o più rischi presenti nell'attività lavorativa, deve essere definita avendo riguardo alla “concreta finalizzazione” delle attrezzature, degli indumenti, dei complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza, tenuto conto della effettiva attività compiuta.
Ne discende l'irrilevanza del mancato inserimento dello specifico dispositivo di sicurezza tra quelli individuati dalla contrattazione collettiva o dal Documento Valutazione Rischi nonché dalla circostanza che l'attrezzatura non sia appositamente creata e commercializzata per la protezione di specifici rischi per la salute in base a caratteristiche tecniche certificate.
Il datore di lavoro è dunque gravato dall'obbligo di provvedere al lavaggio e alla manutenzione dei dispositivi di protezione individuale”.
Nel caso di specie, dunque, la Corte di Cassazione non condivide l'interpretazione fornita dalla Corte d'Appello di Cagliari con sentenza n. 419/2016; in detta pronuncia, argomentando sulla definizione di dispositivi di protezione individuale fornita dall'art. 40, D.lgs. n. 626/1994 (sostituito poi dall'art. 74, D.lgs. n. 81/2008) secondo cui “si intende per dispositivo di protezione individuale qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento od accessorio destinato a tale scopo”, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata da alcuni operatori ecologici che si erano occupati di provvedere in proprio al lavaggio degli indumenti di lavoro.
La Cassazione ritiene, quindi, che l'interpretazione nella specie fornita dalla Corte di merito al citato art. 40, si concentri solo su quelle che devono essere le caratteristiche tecniche di realizzazione e di commercializzazione delle attrezzature e degli indumenti del lavoratore, non tenendo invece adeguatamente conto della finalità principale dello stesso articolo, consistente nel voler tutelare la salute quale diritto fondamentale.
L'espressione adoperata dall'art. 40 cit., che fa riferimento a “qualsiasi attrezzatura” nonché ad “ogni complemento o accessorio” destinati al fine di proteggere il lavoratore “contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro”, deve essere intesa, dunque, nella più ampia accezione proprio in funzione della connessione teleologica a tutela del bene primario della salute quale diritto fondamentale riconosciuto dall'art. 32 Cost.
Inoltre, la Corte ritiene come non sia rilevante la circostanza della previsione o meno degli specifici dispositivi di protezione individuale nell'ambito del Documento di Valutazione dei Rischi, come invece sostenuto dalla Corte territoriale, in quanto l'obbligo posto dal D.lgs. n. 626/1994 all'art. 4, comma 5, di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificatamente contemplato nel Documento di Valutazione dei Rischi, redatto dal medesimo datore di lavoro.
Ciò posto, è bene sottolineare come in passato fosse già stato specificato da questa Corte cosa si intendesse per “indumenti di lavoro specifici”: “si debbono intendere le divise o gli abiti aventi la funzione di tutelare l'integrità fisica del lavoratore, nonché quegli altri indumenti, essenziali in relazione a specifiche e peculiari funzioni, volti ad eliminare o a quanto meno ridurre i rischi ad esse connessi, oppure a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze, onde scongiurare il rischio potenziale di contrarre malattie, come appunto deve reputarsi per la divisa dell'operatore ecologico” (C. Cass. Sent. n. 11071/2008; C. Cass. Sent. n. 23314/2010).
Infine, questa Corte aveva già precedentemente precisato come: “l'idoneità degli strumenti di protezione deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dal D.lgs. n. 626/1994” (C. Cass. Sent. n. 11729/2009; C. Cass. Sent. n. 16495/2014; C. Cass. Sent. n. 8585/2015).
Nel caso di specie, dunque, la Suprema Corte, anche conformandosi alle pronunce sopra citate, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Cagliari che dovrà riesaminare la fattispecie attenendosi ai principi sopra enunciati.