News

DECRETO RILANCIO: ECOBONUS AL 110% PER INTERVENTI DI RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO E DI RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA

L’art. 119, D.L. n. 34/2020, tra le varie misure varate, ha introdotto il c.d. “Ecobonus”, ovverosia una nuova percentuale di detrazione fiscale potenziata al 110 % per interventi di riqualificazione ed efficienza energica, che viene ad affiancarsi all’ordinario ecobonus di cui alla L. n. 90/2013.

Leggi tutto...

Decreto Legge “Rilancio” n. 34/2020 e misure a sostegno delle famiglie.

Con la presente rassegna si vogliono portare all'attenzione del lettore le misure adottate a sostegno delle famiglie dal Decreto Legge n. 34/2020, cosiddetto Decreto “Rilancio”.

Il Governo ha infatti deciso, con il decreto summenzionato, di introdurre o rinnovare articoli contenenti misure a sostegno di quei nuclei familiari che, a causa della grande crisi economica esplosa a seguito dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, si trovano in condizioni economiche precarie.

Verranno dunque analizzate le più rilevanti disposizioni a favore delle famiglie presenti all'interno del decreto suindicato.

Congedo genitori. In ragione del prolungamento del periodo di chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, l'articolo 72, decreto legge n. 34/2020, attribuisce ai lavoratori dipendenti del settore privato, genitori con figli di età non superiore ad anni 12, il diritto di fruire di un congedo della durata massima di 30 giorni, con riconoscimento di un'indennità pari al 50% dello stipendio.

Inoltre, al genitore – lavoratore - con figli minori di anni 16, che non possa contare sul supporto di un altro genitore non lavoratore o destinatario di analoghi benefici, è riconosciuta la facoltà di astenersi dal lavoro per tutto il periodo di sospensione delle attività educative, senza percepire alcuna indennità ma con diritto alla conservazione del posto di lavoro e pedissequo divieto di licenziamento.

Il congedo genitori spetta, inoltre, ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, ai quali viene riconosciuta una indennità giornaliera del 50%, pari a 1/365 del reddito utilizzato per il calcolo dell'indennità di maternità.

Sono esclusi, invece, tutti gli altri lavoratori autonomi non iscritti all'INPS, per i quali provvederanno le rispettive casse previdenziali professionali.

Bonus baby sitter e servizi integrativi dell'infanzia. In alternativa al congedo, viene concessa ai genitori – lavoratori - la possibilità di vedersi corrisposto un bonus, pari ad Euro 1.200, per l'acquisto dei servizi di baby sitting.

Per i genitori dipendenti delle forze dell'ordine o del settore sanitario pubblico o privato, detto bonus ammonta ad Euro 2.000.

In via parimenti alternativa, viene concesso ai genitori di poter utilizzare il bonus per l'iscrizione ai centri estivi, ai servizi integrativi per l'infanzia, ai servizi socio – educativi territoriali oppure ai centri con funzione educativa e ricreativa.

Reddito di emergenza. Regolamentato dall'articolo 82 del Decreto “Rilancio” e destinato al sostegno dei nuclei familiari che si trovano in condizioni di necessità economica in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.

Il reddito summenzionato viene riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, cumulativamente, dei seguenti requisiti:

a) residenza in Italia, verificata con riferimento al componente richiedente il beneficio;

b) un valore del reddito familiare, nel mese di aprile 2020, inferiore all'importo che viene riconosciuto come reddito di emergenza e che varia in base al numero di componenti del nucleo familiare;

c) un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all'anno 2019, inferiore ad Euro 10.000, accresciuto di Euro 5.000 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di Euro 20.0000;

Massimale aumentato di Euro 5.000 in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza.

d) un valore dell'ISEE inferiore ad Euro 15.000.

Detto reddito verrà concesso solo per il mese di maggio e verrà erogato dall'INPS in due quote, ciascuna pari ad Euro 400,00, nei confronti dei nuclei familiari che presenteranno domanda entro il mese di giugno.

Non possono beneficiare del reddito di emergenza, invece, i nuclei familiari costituiti da componenti che siano, al momento della domanda:

a) titolari di pensione diretta o indiretta, ad eccezione dell'assegno ordinario di invalidità;

b) titolari di un rapporto di lavoro dipendente, la cui retribuzione lorda sia superiore all'importo del reddito di emergenza;

c) percettori di reddito di cittadinanza.

Non hanno diritto al reddito di emergenza, inoltre, i soggetti che si trovano in stato detentivo, per tutta la durata della pena, nonché coloro i quali siano ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello stato o di altra amministrazione pubblica.

Lavoro agile per i genitori. L'articolo 90 del decreto summenzionato riconosce ai lavoratori privati con almeno un figlio inferiore di anni 14, di poter svolgere la prestazione lavorativa in modalità smart working.

Detta possibilità viene concessa nel solo caso di compatibilità tra mobilità e caratteristiche della prestazione lavorativa; inoltre, è richiesto che nel nucleo familiare non sia presente altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito o non lavoratore.

Tax credit vacanze. Infine, viene riconosciuto alle famiglie con un ISEE non superiore ad Euro 40.000, un credito per i pagamenti legati alla fruizione dei servizi offerti in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive, dagli agriturismi e dai bed and breakfast.

Detto credito può essere utilizzato da un solo componente per ciascun nucleo familiare ed è pari ad Euro 500,00 per le famiglie con un figlio a carico, Euro 300,00 per i nuclei familiari composti da due persone ed Euro 150,00 per quelli composti da una sola persona.

Il credito summenzionato viene, però, riconosciuto solo in presenza delle seguenti condizioni:

a) le spese devono essere sostenute in un'unica soluzione in relazione ai servizi resi da una singola impresa turistico ricettiva, da un singolo agriturismo o da un singolo bed and breakfast;

b) il totale del corrispettivo deve essere documentato da fattura elettronica o documento commerciale;

c) il pagamento del servizio deve essere corrisposto senza l'ausilio, l'intervento o l'intermediazione di soggetti che gestiscono piattaforme o portali telematici diversi da agenzie di viaggi o tour operator.

Queste le principali misure adottate o rinnovate dal Decreto “Rilancio” atte a garantire un sostegno economico alle famiglie.

 


Covid-19: il problema del pagamento dei canoni di locazione senza il concredo godimento degli immobili commerciali.

Il presente focus ha l'obbiettivo di fornire al lettore l'analisi delle possibili soluzioni a tutela del conduttore.

I provvedimenti adottati dal governo per il contrasto ed il contenimento del diffondersi del covid-19 hanno inciso pesantemente sui rapporti commerciali. La chiusura e sospensione delle attività produttive hanno ingenerato il dubbio circa la possibilità di ottenere la sospensione o la riduzione dei canoni nei contratti di locazione di immobili ad uso commerciale. In particolare, nel presente articolo verrà affrontata la questione dell'impossibilità sopravvenuta e della forza maggiore, affrontando gli aspetti critici dell'impossibilità sopravvenuta e delle questioni ad essa annesse (eccessiva onerosità della prestazione, possibile domanda di reductio ad equitatem, divieto di autosospensione del canone).

L'impossibilità sopravvenuta e la forza maggiore sono regolamentate dall'art. 1256 c.c.: “l'obbligazione si estingue quando per causa non imputabile al debitore – conduttore -, la prestazione diventa impossibile. Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finchè essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'inadempimento". Dunque, il comma II° dell'art. 1256 c.c. tratta dell'impossibilità temporanea della prestazione dovuta dal debitore, che nel contratto di locazione consiste nel pagamento del canone, dovuta per causa non imputabile al debitore.

Quest'ultimo è esonerato da responsabilità sino a quando cesserà l'inadempimento.

Secondo i primi commentatori delle norme emergenziali, il punto fermo da cui muovere è che gli eventi suddetti sono riconducibili ad una causa di forza maggiore, che, per definizione, rappresenta una causa di non imputabilità dell'adempimento.

I provvedimenti emanati con le norme emergenziali finalizzate a tutelare l'interesse pubblico – salute- costituiscono un'esimente della responsabilità del debitore e, dunque, un'ipotesi di forza maggiore (cd factum principis). In particolare la forza maggiore “temporanea”, determina la possibilità che l'obbligazione possa essere eseguita “non appena possibile”. L'emergenza epidemiologica è stata considerata causa di forza maggiore tale da escludere una responsabilità di chi non adempie alle obbligazioni entro i termini stabiliti contrattualmente.

Del resto il D.L. “cura Italia”n. 18/2020, all'art. 91, ad integrazione del D.L. 6/2020, introducendo il comma 6 bis ha statuito che: “il rispetto delle misure di contenimento è valutato ai fini dell'esclusione della responsabilità del debitore in ordine a decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti. Secondo tale disposizione, in materia di contratti, la parte inadempiente o in ritardo potrà invocare l'esimente della forza maggiore, fatta salva la prova dell'impossibilità – anche parziale- di provvedervi". Nello specifico suddetta posizione interpretativa è stata assunta dai notai che, fattivamente, si tradurrebbe nella possibilità, per il conduttore, di ottenere, per la durata del periodo emergenziale, una sospensione dell'obbligo di pagamento del canone fino al termine della causa di forza maggiore, salvo poi pagare gli arretrati, senza interessi, una volta terminata l'emergenza.

Le interpretazioni della cassazione in ordine alle norme civilistiche che entrano in gioco sono molteplici, considerando quella più favorevole al debitore/conduttore, l'impossibilità potrebbe essere interpretata come mera difficoltà temporanea a pagare il canone, a causa della mancata operatività dell'azienda, ma non certo come diretta conseguenza. L'impossibilità per il conduttore di utilizzare l'immobile, quale prestazione della controparte (locatore); l'impossibilità di adempiere alla propria obbligazione (pagamento del canone).

Secondo altri autori, ulteriore strada percorribile è quella della eccessiva onerosità della prestazione di cui agli articoli 1467 c.c. e seguenti.

Sulla scorta di tale ipotesi deve essere mantenuto l'equilibrio contrattuale, al fine del mantenimento del quale il conduttore potrebbe chiedere una riduzione della sua prestazione, ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione, sufficienti a ricondurla ad equità ex art. 1468 c.c.

Se il rimedio appena citato può apparire di immediata applicazione poiché è evidente che il conduttore, non potendo più esercitare la propria attivitàò commerciale, potrebbe avere seri problemi ad onorare i suoi impegni di pagamento dei canoni pattuiti ed interesse alla loro riduzione, va ricordato che la riduzione non consegue immediatamente la sua richiesta: anzi, il conduttore può solo chiedere la risoluzione del contratto ed il locatopre, onde evitare tale circostanza può ridurre il canone riconducendolo a criteri di equità.

Deve infatti evidenziarsi che il conduttore non è legittimato, in autonomia, a sospendere e/o ridurre il canone di locazione. La sospensione totale o parziale è legittima solo se autorizzata formalmente dal locatore (ex multis, C. Cass. Sentenza n. 18987/2016 principio consolidato).

Lo stesso Cura Italia, all'art. 65 D.L. n. 18/2020, prevedendo a favore del conduttore un credito d'imposta per l'anno 2020 per l'affitto di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (botteghe e negozi), presuppone che non sia legislativamente previsto alcun diritto alla sospensione o riduzione del canone, che resta da pagare, regolarmente.


DECRETO RILANCIO: MISURE DI SOSTEGNO ALLE IMPRESE E PROFESSIONISTI CON P.IVA

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di ieri il Decreto Legge 19.05.2020, n. 30 (c.d. Decreto Rilancio) nel suo testo definitivo.

Lo scopo della presente rassegna è focalizzare l’attenzione sulle principali misure di sostegno alle imprese a agli altri operatori economici con P.Iva.

Leggi tutto...

Legittimo il licenziamento del lavoratore che si assenta senza motivo dopo la malattia.

Con l'odierna rassegna si vuole fare presente al lettore quanto statuito dalla Corte di Cassazione, con Sentenza n. 7566/2020: “non è consentito al lavoratore – che va perciò licenziato - di astenersi dalla presentazione sul posto di lavoro, una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza, avendo superato il periodo di comporto: presentazione che è momento distinto dall'assegnazione alle mansioni, in quanto diretto a ridare concreta operatività al rapporto e ben potendo comunque il datore di lavoro, nell'esercizio dei suoi poteri, disporre, quanto meno in via provvisoria e in attesa dell'espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all'interno dell'organizzazione di impresa.”

Nel caso oggetto della vertenza menzionata, una lavoratrice si era collocata autonomamente in ferie alla scadenza del periodo di comporto, senza formulare alcuna richiesta di autorizzazione al loro godimento.

La Corte di Appello di Napoli aveva confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale era stata respinta la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente, a seguito di assenze ingiustificate dal lavoro di quest'ultima perpetrate per diversi giorni consecutivi.

Avverso la Sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli la lavoratrice proponeva ricorso per Cassazione, adducendo i motivi che di seguito si espongono.

Con il primo motivo, la ricorrente sottolineava l'errore commesso dalla Corte di impugnazione per aver quest'ultima ritenuto che il licenziamento trovasse fondamento e giustificazione anche in riferimento a giorni di assenza contestati con lettere precedenti.

Con il secondo motivo la lavoratrice riteneva giustificata la sua assenza dal lavoro per non essere stata sottoposta, prima del suo rientro sul luogo di lavoro, a visita medica.

La ricorrente censurava dunque la decisione della Corte d'Appello la quale aveva invece ritenuto ingiustificata la sua assenza dal lavoro: per la Corte d'impugnazione, infatti, nel caso di specie, la lavoratrice, in ragione della mancata sottoposizione a visita medica preventiva, avrebbe potuto rifiutarsi di eseguire la mansione assegnatale, ma non già assentarsi dal luogo di lavoro.

Con il terzo motivo la ricorrente deduceva violazione dell'articolo 41, comma 2, lettera e-ter, Dlgs 81/2008, il quale sancisce come il lavoratore, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, debba essere sottoposto a visita medica precedente alla ripresa del lavoro, al fine di verificare l'idoneità dello stesso allo svolgimento della mansione.

La ricorrente contestava infatti la sentenza impugnata per avere il Giudice dell'impugnazione erratamente ritenuto che presupposto per l'applicazione della disposizione menzionata fosse la presenza in azienda della lavoratrice, mentre dal tenore letterale della disposizione summenzionata si desume come il reingresso nel sistema produttivo del dipendente, che per motivi di salute sia rimasto assente per un periodo di oltre sessanta giorni consecutivi, debba essere necessariamente preceduto dall'effettuazione della visita medica.

La Suprema Corte ha considerato infondati i motivi esposti dalla ricorrente.

Ha innanzitutto dichiarato l'assenza del vizio di ultrapetizione della Corte d'Appello di Napoli, il quale si presenta ogniqualvolta il Giudice decide su questioni che non sono oggetto del giudizio o che vanno oltre le richieste formulate dalle parti.

Detto vizio non si era verificato nel caso oggetto della vertenza menzionata, non avendo la Corte d'impugnazione fondato la propria decisione sulle lettere di contestazione inviate alla lavoratrice negli anni precedenti il licenziamento, bensì solo menzionato detti richiami: la Corte d'Appello, dunque, non aveva oltrepassato l'oggetto del giudizio e per questa ragione il Giudice di legittimità ha dichiarato infondato il primo motivo di ricorso esposto dalla ricorrente.

Ha poi considerato parimenti infondati il secondo e il terzo motivo esposti dalla lavoratrice/ricorrente in quanto l'articolo 41, comma 2, lettera e-ter, Dlgs 81/2008 summenzionato, deve essere interpretato nel senso che la ripresa del lavoro, rispetto alla quale la visita medica deve essere precedente, è costituita dalla concreta assegnazione del lavoratore, quando egli faccia ritorno in azienda dopo un assenza per motivi di salute prolungata per oltre sessanta giorni, alla medesime mansioni già svolte in precedenza, essendo queste soltanto le mansioni per le quali sia necessario compiere una verifica di idoneità diretta ad accertare se il lavoratore possa sostenerle senza pregiudizio o rischio per la sua integrità psico-fisica.

In ragione di ciò, il lavoratore, dopo un periodo di malattia protratto per oltre sessanta giorni può, in assenza di visita medica, astenersi dall'eseguire la prestazione dovuta ex articolo 1460 c.c..

Non è invece consentito al lavoratore di astenersi anche dalla presentazione sul posto di lavoro una volta venuto meno il titolo giustificativo della sua assenza.

E', infatti, principio consolidato in giurisprudenza (C. Cass. Sent. n. 21385/2004; C. Cass. Sent. n. 5521/2003), quello secondo il quale: “il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattia in ferie, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con scadenza del comporto.

Tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentono di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita .”

Sulla scorta delle motivazioni sopra esposte, la Corte di Cassazione, con la Sentenza summenzionata, ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice/ricorrente e considerato legittimo il licenziamento della stessa.