L’I.N.P.S., con messaggio n. 3604/2019 del 04.10.2019 ha fornito chiarimenti in relazione all’accertamento del diritto alla percezione degli ANF maggiorati in favore di figli minorenni inabili componenti del nucleo famigliare del richiedente la prestazione.
Leggi tutto...Oggi, si vuole segnalare una interessante pronuncia della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la Sentenza n. 6882 dell'8 marzo scorso.
Gli Ermellini sono stati chiamati a risolvere un contrasto giurisprudenziale tanto noto, quanto datato nel tempo; questione dirimente quest'ultima che, tuttavia, non era mai stata risolta.
Nello specifico negli anni 80 si crearono due orientamenti giurisprudenziali opposti relativi all'interpretazione dell'art. 53 Cost., ossia se quest'ultima norma, possa costituire un limite generale all'autonomia negoziale tra privati in tema di individuazione del soggetto passivo dell'imposta, impedendo alle parti di neutralizzare pattiziamente gli effetti della capacità contributiva.
Ora, un primo orientamento formatosi a partire dalla Sentenza a Sezioni Unite n. 5/1985 aveva dichiarato la nullità sia ex art. 1418 c.c. che ex art. 53 della Costituzione, della clausola con cui venga pattuita l'imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante era tenuto a versare all'erario.
Nello specifico secondo i giudici di legittimità: poichè un soggetto è obbligato al versamento di un tributo in stretto rapporto al reddito percepito, il relativo adempimento grave deve gravare sul soggetto avente la corrispondente capacità contributiva si riferisce l'obbligazione e non da un soggetto diverso e detentore di un patrimonio diverso da quello su cui è prevista l'imposizione tributaria. Sulla scorta di tale ragionamento è stato elaborato il primo e seguente principio di diritto: “è vietato e nullo qualunque patto con il quale un soggetto, ancorchè senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soggetto […] il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta”.
Ad una diversa conclusione sono successivamente approdate le Sezioni Unite con una seconda pronuncia, la n. 6445/1985, con la quale, partendo dai medesimi presupposti argomentativi della precedente sentenza, veniva statuita la nullità, per illiceità della causa, in quanto contraria all'ordine pubblico, del patto traslativo d'imposta, nella sola ipotesi in cui l'imposta non venga corrisposta al fisco dall'effettivo percettore del reddito ma da altro soggetto , ed escludendo quindi la nullità di tali pattuizioni nel caso in cui l'imposta venga regolarmente pagata al fisco dal contribuente, ma si convenga che l'obbligazione di cui si stipula l'accordo abbia ad oggetto una somma di importo pari al tributo, che ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale.
Dunque sulla scorta di questa seconda pronuncia, si può pacificamente affermare come non sia sufficiente che sia soddisfatta l'obbligazione verso il fisco, occorrendo altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto individuato dalla legge come soggetto passivo del tributo.
Tale orientamento è stato sposato nel tempo da diverse sentenze fin dall'anno 1991: C. Cass. Sent. n. 6232/1991; C. Cass. Sent. n. 3577/1995; C. Cass. n. 13261/1999; C. Cass. Sent. n. 22369/2004; C. Cass. Sent. n. 24307/2009.
L'allineamento al secondo orientamento è diventato nel tempo principio consolidato e condiviso anche dalla dottrina maggioritaria.
In questa prospettiva le Sezioni Unite di marzo scorso hanno affermato che: “è legittima nel contratto di locazione ad uso diverso dall'abitativo la clausola secondo cui il conduttore deve farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo manlevato il locatore, dovendosi ritenere che detta pattuizione non determini la traslazione in capo al conduttore dei tributi gravanti sull'immobile a carico del proprietario/locatore, ma la mera integrazione del canone di locazione”.
Pertanto, secondo il Collegio, la liceità della clausola sussiste allorquando essa non preveda un obbligo diretto del conduttore verso l'ente impositore di pagare le imposte gravanti sull'immobile, ma soltanto l'obbligo del conduttore di manlevare il locatore da tale onere, nel senso cioè di provvedere al relativo rimborso. Così intesa la clausola contrattuale de quo non comporta violazione né dell'art 53 della Costituzione, né dell'art. 79 L. n. 392/1978.
Importante sentenza sulla quale si sorregge questa parte del ragionamento formulato dalle Sezioni Unite del marzo scorso, è la n. 23601 del 09.10.2017, Cass. Civile a Sezioni Unite, secondo la quale: “non vi è violazione dell'art. 79 L. n. 392/1978, secondo cui è nulla ogni pattuizione con cui le parti di un contratto di locazione ad uso non abitativo concordino occultamente un canone maggiore di quello dichiarato, a prescindere dalla registrazione del contratto, poiché nella specie si stratta di un canone di locazione ab origine realmente pattuito. Si è, cioè, in presenza di un canone dichiarato in due componenti delle quali, l'una rappresenta una parte della controprestazione della locazione, mentre l'altra una controprestazione aggiuntiva”.
Definito, dunque, che non vi sia violazione dell'art. 79 L. n. 392/1978, Le Sezioni Unite hanno ribadito i limiti dell'autonomia negoziale privata in relazione ai tributi, che devono essere corrisposti all'ente impositore in proporzione alla capacità contributiva di ciascuno, precisando poi che nell'ambito dell'autonomia privata i contraenti sono liberi di prevedere un rimborso a carico del conduttore.
Con l'odierna rassegna si vuole concentrare l'attenzione sulla disciplina relativa alla presunzione di proprietà comune dei beni condominiali, segnatamente del sottoscala presente all'interno di un edificio condominiale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2242 del 9 settembre 2019 ha precisato che: “l'art. 1117 c.c. fornisce la “chiave” per individuare quali, in un caseggiato, siano le cose comuni, precisando che la presunzione di condominialità di una porzione immobiliare, rientrante nel campo di applicazione di tale norma, può essere vinta, dal singolo condomino, solo in ragione di un titolo originario che esplicitamente gliene attribuisca la proprietà esclusiva oppure qualora lo stesso dimostri di averla comunque acquisita mediante usucapione”.
A questa conclusione la Corte è giunta conformandosi ad un orientamento precedentemente già consolidato, poiché non esistono sentenze contrarie. (C. Cass. Sentenza n. 11812/2011, C. Cass. Sentenza n. 9523/2014, C. Cass. Sentenza n. 5831/2017, C. Cass. Sentenza n. 20693/2018).
Leggi tutto...La Giurisprudenza di Merito, uniformandosi al consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, torna a pronunciarsi in tema di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c.
“E’ nulla la clausola risolutiva espressa per indeterminatezza dell’oggetto allorquando la stessa non contenga l’indicazione specifica delle obbligazioni contrattuali dal cui inadempimento le parti abbiano inteso far discendere la risoluzione ipso iure del contratto ex art. 1456 c.c.”.
E’ quanto statuito dal Tribunale di Benevento, con Sentenza del 24.05.2019, n. 934.
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