Il decreto legge n. 41/2021 (c.d. “Decreto Sostegni”) è un provvedimento dell'Esecutivo, adottato sul modello del c.d. “Decreto Ristori”, che è stato approvato il 19 marzo 2021.
Il suindicato decreto contiene numerosi interventi per sostenere i settori professionali più colpiti dalla pandemia di Coronavirus.
Di seguito verranno elencati i contributi previsti nonché le tempistiche per ottenerli.
1) Indennità lavoratori. E' stato previsto un bonus di 2.400,00 Euro suddiviso in tre mensilità da richiedere entro il mese di aprile 2021, secondo istruzioni operativeche a breve verranno fornite dall'Inps.
Detta agevolazione viene riconosciuta:
1) ai dipendenti stagionali del turismo e stabilimenti termali;
2) ai dipendenti a termine di altri settori produttivi che siano stati costretti a chiudere l'attività o a ridurla a causa della crisi;
3) ai lavoratori intermittenti con almeno 30 giornate di lavoro dall'1 gennaio 2019;
4) ai lavoratori autonomi occasionali senza partita iva e privi di contratto, iscritti alla Gestione Separata;
5) ai venditori a domicilio iscritti alla Gestione Separata con reddito entro il 2019 oltre i 5.000,00 Euro, non iscritti ad altre forme previdenziali;
6) ai lavoratori iscritti al Fondo Pensione Spettacolo con almeno 30 contributi giornalieri versati tra l'1 gennaio 2019 e la data del decreto, con reddito non superiore a 75.000,00 Euro, non titolari di pensioni né altri redditi da lavoro dipendente o con almeno 7 contributi giornalieri versati e reddito non superiore a 35.000,00 Euro.
2) Indennità lavoratori sportivi. Tra l'1 ed il 15 aprile 2021 potranno essere inoltrate le domande per ottenere gli aiuti destinati ad enti, società e attività sportive.
Occorrerà collegarsi alla piattaforma telematica della Società Sport e Salute s.p.a. del Coni, il quale distribuirà i contributi ai lavoratori di queste realtà con indennizzi da un minimo di 1.200,00 Euro ad un massimo di 3.600,00 Euro, commisurati ai compensi del 2019.
3) Cassa integrazione in deroga. Tra gli aiuti di cui al Decreto Sostegni è previsto anche il rinnovo della cassa integrazione Covid per altre 12 settimane.
Le domande devono essere presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui è stato sospeso o ridotto l'orario di lavoro.
Prorogata inoltre anche la cassa integrazione salariale operatori agricoli per 120 giorni utilizzabili tra l'1 aprile ed il 31 dicembre 2021.
4) Blocco dei licenziamenti. Prorogato al 30 giugno 2021 per le procedure di licenziamento collettivo ed i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
Prorogato al 31 ottobre 2021 sempre con riferimento ai licenziamenti collettivi e ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, per i datori di lavoro che utilizzano le nuove 28 settimane di assegno ordinario, cassa in deroga e per il settore agricolo.
5) Proroghe e rinnovi dei contratti a termine. E' prorogata la deroga in materia di causale dei contratti a termine.
Ferma restando la durata complessiva di 24 mesi, fino al 31 dicembre 2021 sarà possibile per le imprese rinnovare e prorogare per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta i contratti a tempo determinato in deroga alle condizioni previste.
La novità ha efficacia a far data dall'entrata in vigore del Decreto Sostegni e nella sua applicazione non si tiene conto dei rinnovi e delle proroghe già intervenuti.
6) NASPI. Dall'entrata in vigore del Decreto Sostegni e fino al 31 dicembre 2021, è previsto che l'indennità di disoccupazione potrà essere concessa a prescindere dalla sussistenza, in capo al lavoratore, del requisito dei 30 giorni di effettivo impiego nei 12 mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione.
7) Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria senza contributi addizionali. Prorogata di oltre 13 settimane da utilizzare dall'1 aprile al 30 giugno 2021.
8) Fondo esonero contributi previdenziali autonomi e professionisti. Incremento del Fondo per l'esonero dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori autonomi e dai professionisti che abbiano:
1) percepito nel periodo di imposta 2019 un reddito complessivo non superiore a 50.000,00 Euro;
2) abbiano subito un calo del fatturato o dei corrispettivi nell'anno 2020 non inferiore al 33% rispetto a quelli dell'anno 2019.
9) Reddito di cittadinanza. Per l'anno 2021, qualora la stipula di uno o più contratti di lavoro subordinato a termine comporti un aumento del valore del reddito familiare fino al limite massimo di 10.000,00 Euro annui, il beneficio economico è sospeso per la durata dell'attività lavorativa che ha prodotto l'aumento del reddito familiare fino ad un massimo di sei mesi.
Questi i contributi previsti dal Decreto Sostegni al fine di venire incontro a tutte le attività e settori professionali che sono stati maggiormente colpiti dall'emergenza epidemiologica in atto.
La presente rassegna ha lo scopo di analizzare quanto statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28649 del 15 dicembre 2020, nell'ambito di una vertenza in materia di separazione.
Nel caso di specie il Tribunale di Venezia aveva pronunciato la separazione personale di due coniugi, riconoscendo alla moglie l'assegno di mantenimento.
La moglie, producendo una precedente scrittura privata sottoscritta dai due coniugi, proponeva reclamo innanzi alla Corte d'Appello, sostenendo che la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi doveva essere equiparata a quanto accordato nella scrittura privata precedentemente sottoscritta.
Il Giudice del gravame riteneva che l'atto non costituiva in nessun modo accordo idoneo a regolamentare una separazione consensuale tra le parti e tantomeno il procedimento contenzioso, in quanto si trattava di una mera puntuazione in vista di un possibile accordo di separazione consensuale, mai perfezionato dalle parti.
La Corte d'Appello confermava dunque la congruità dell'assegno di mantenimento disposto dal Giudice di primo grado.
Avverso tale pronuncia la moglie proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che la scrittura privata costituiva un accordo sul contenuto sostanziale del rapporto tra i coniugi, dal contenuto obbligatorio e giuridicamente vincolante, rispetto al quale la separazione si qualificava solo come eventuale.
Riteneva inoltre che la scrittura privata costituisse una transazione contenente un contratto atipico di mantenimento e rimarcava, infine, che l'accordo aveva avuto attuazione immediata ed era proseguito anche durante il giudizio di separazione sino alla sentenza di primo grado.
La Corte di Cassazione ha rilevato che l'accordo di separazione era stato definito dai coniugi come un “accordo programmatico”.
La Corte inoltre ha disatteso la tesi avanzata dalla ricorrente secondo la quale l'atto integrava un accordo di separazione consensuale perfezionato e valido, avendo accertato che l'atto in questione non costituiva un accordo idoneo a regolamentare nè una separazione consensuale, nè la separazione giudiziale intrapresa.
La Suprema Corte ha, quindi, affermato che tale atto non poteva significare la rinuncia delle parti ad esercitare l'azione di separazione giudiziale, nè obbligarli a stipulare una separazione consensuale: da ciò ha desunto "l'assenza di valore giuridico vincolante rispetto alla fattispecie dedotta nel giudizio che origina invece da un ricorso per separazione giudiziale", rimarcando in proposito sia la diversa natura della separazione giudiziale rispetto a quella consensuale, sia la considerazione che le precisazioni ivi contenute in vista di un componimento bonario della vicenda non potevano essere "decontestualizzate", ossia utilizzate per un fine diverso da quello perseguito, nell'ambito di un procedimento contenzioso.
Ha quindi ritenuto che la Corte di appello, avendo accertato che l'atto era una "puntuazione" in vista di un futuro accordo di separazione consensuale non realizzato - e non già la ricorrenza di pattuizioni autonome non preordinate al regime di separazione consensuale - ha correttamente ritenuto l'"accordo programmatico" privo dell'invocata efficacia giuridica nel giudizio de quo.
Per le ragioni suesposte la Corte di Cassazione, con la sentenza suindicata, ha rigettato il ricorso proposto dalla moglie statuendo che: “Il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell'accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia; ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all'art. 711 c.p.c. in relazione all'art. 158 c.c., comma 1, in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica, a meno che non si collochino in una posizione di autonomia in quanto non collegate al regime di separazione consensuale.”
“La persona che abbia stipulato un'assicurazione contro i rischi della responsabilità civile, se convenuta in giudizio dal terzo danneggiato, ha diritto alla rifusione da parte del proprio assicuratore delle spese sostenute per contrastare la pretesa attorea; tale diritto sussiste sia nel caso in cui la domanda di garanzia venga accolta, sia nel caso in cui resti assorbita, e può essere negato solo in due ipotesi: quando manchi o sia inefficace la copertura assicurativa, oppure quando le spese di resistenza sostenute dall'assicurato siano state superflue, eccessive o avventate”.
Detto principio, oggetto dell'odierna rassegna, è stato statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 4786 del 23 febbraio 2021, nell’ambito di una vertenza in materia di responsabilità sanitaria.
Nel caso di specie, un paziente conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli il proprio medico chirurgo, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'imperita esecuzione di un intervento di mastoplastica.
Il convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda nonché formulando la chiamata in causa del proprio assicuratore della responsabilità civile.
Il Tribunale di Napoli rigettava però la domanda avanzata dall'attore, compensando fra le parti le spese di lite.
La sentenza veniva dunque impugnata dal convenuto innanzi alla Corte d'Appello di Napoli, per avere il Giudice di prime cure rigettato la domanda dallo stesso avanzata volta ad ottenere la rifusione, da parte del proprio assicuratore, delle cosiddette “spese di resistenza”.
La Corte d'Appello di Napoli rigettava il gravame e per tale ragione il medico proponeva ricorso in Cassazione.
Il ricorrente deduceva l'avvenuta violazione da parte della Corte d'Appello dell'articolo 1917, comma 3 c.c, che attribuisce all'assicurato il diritto di ripetere dal proprio assicuratore le spese di resistenza, anche nel caso in cui la domanda di manleva proposta dall'assicurato nei confronti dell'assicuratore non sia stata esaminata poiché assorbita per rigetto della domanda proposta del terzo danneggiato.
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo manifestamente fondato in quanto l'obbligo dell'assicuratore della responsabilità civile di rifondere le spese di resistenza sostenute dall'assicurato costituisce un naturale negotii ex art. 1374 c.c.
La Corte di Cassazione ha infatti sottolineato che l'unico limite all'accoglimento della domanda di rifusione delle spese proposta dall'assicurato può discendere dall'insussistenza della garanzia oppure dalla circostanza che le spese di resistenza siano state sostenute.
Le spese di resistenza dovevano quindi essere liquidate al ricorrente anche se la domanda di garanzia proposta dall'assicurato nei confronti dell'assicuratore era rimasta assorbita per effetto del rigetto della domanda proposta dal terzo danneggiato nei confronti dell'assicurato.
Per le ragioni esposte la Corte di Cassazione, con l'ordinanza summenzionata, ha cassato la sentenza impugnata e rimesso la causa alla Corte d'Appello di Napoli.
Con la rassegna odierna si vuole segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione, l'ordinanza n. 24266 del 3 novembre 2020, in tema di recesso dal contratto di locazione.
Nel caso di specie, il Tribunale di Genova, a seguito di ricorso per ingiunzione promosso dal locatore, ingiungeva ai conduttori il pagamento dei canoni di locazione relativi ad un immobile ad uso abitativo.
I conduttori proponevano opposizione sostenendo che il contratto di locazione si era risolto, essendo intervenuto recesso per gravi motivi.
Il Tribunale non riteneva valevoli di essere qualificati come gravi motivi quelli indicati nella disdetta dai conduttori, ossia motivi afferenti la sfera lavorativa di questi ultimi.
Pertanto il Tribunale di Genova riteneva ingiustificato il recesso dei conduttori.
Avverso la sentenza di primo grado, i conduttori soccombenti proponevano impugnazione innanzi alla Corte d'Appello di Genova, sostenendo che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto considerare quali gravi motivi le ragioni di lavoro poste a base della disdetta da loro inviata.
Il Giudice del gravame rigettò l'appello proposto dai conduttori i quali ricorrevano dunque in Cassazione.
La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, sulla scorta di quanto statuito dalla L. n. 392/1978 il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi, da comunicarsi con lettera raccomandata.
La Suprema Corte specificava, inoltre, che tale normativa è derivazione diretta del recesso unilaterale disciplinato dall'art. 1373 c.c., il quale inquadra il recesso unilaterale non convenzionalmente convenuto come deroga eccezionale al principio secondo il quale tale rapporto può essere sciolto solo per concorde volontà delle parti.
Detta deroga è ammessa laddove sussistano gravi motivi che investono la posizione del conduttore.
E' stato infatti più volte precisato dalla Giurisprudenza di legittimità (C. Cass. Sent. n. 6895/2015; C. Cass. Sent. n. 16110/2009) che ai fini del valido ed efficace esercizio del diritto potestativo di recesso del conduttore, è sufficiente che egli manifesti, con lettera raccomandata o altra modalità equipollente, al locatore il grave motivo per cui intende recedere dal contratto di locazione, senza avere anche l'onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto o economiche su cui tale motivo è fondato.
Il recesso del conduttore, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce infatti effetto per il solo fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest'ultimo, circa l'esistenza o rilevanza dei motivi addotti.
L'eventuale contestazione del locatore circa l'inesistenza dei “giusti motivi” invocati dal conduttore non introduce un'azione costitutiva finalizzata all'ottenimento di una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giustificati motivi invocati dal conduttore.
Nel caso di specie, ha stabilito la Corte, si trattava di un recesso titolato, che non poteva prescindere dalla specificazione dei motivi, in quanto ineriva al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e rispondeva alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo.
Alla necessità dell'indicazione, nella dichiarazione di recesso, dei motivi posti a fondamento dello stesso dalla parte conduttrice non può corrispondere l'onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica degli stessi, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.
Pertanto, precisa la Corte, era necessario verificare la presenza di eventuali contestazioni avanzate dai locatori ai gravi motivi addotti dai conduttori nella lettera di recesso.
Per tale ragione, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza summenzionata, ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e rimesso la causa alla Corte d'Appello di Genova.
Con la rassegna odierna, si vuole segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 19062 del 14 settembre 2020, si è pronunciata in materia di licenziamento.
Nel caso di specie, una lavoratrice era stata collocata dalla società datrice di lavoro in una sede lontana dalla propria abitazione, con assegnazione di mansioni che portarono al peggioramento delle sue condizioni di salute.
La donna fu dunque costretta ad assentarsi dal posto di lavoro per malattia, la quale si prolungò quasi sino all'esaurimento del periodo di comporto.
Per tale ragione la dipendente chiese dunque un periodo di ferie di venti giorni, che la datrice di lavoro le accordò invece per un solo giorno.
Nonostante ciò, la lavoratrice prolungò comunque i giorni di ferie e per tale ragione la società, ritenendo ingiustificate le successive assenze, licenziava la stessa per giusta causa.
La donna proponeva dunque ricorso il quale veniva respinto sia dal Tribunale di Potenza che dalla Corte d'Appello di Potenza: in entrambi i gradi di giudizio venne infatti precisato che la stessa era consapevole delle plurime assenze ingiustificate sul luogo di lavoro.
La dipendente proponeva dunque ricorso in Cassazione, lamentando la violazione degli articoli 2110 e 2119 c.c., oltre che dell'art. 173 CCNL commercio, deducendo di aver giustificato le proprie assenze mediante certificazione medica e di pronto soccorso, prodotta contestualmente alla richiesta di un periodo di ferie in prossimità dell'esaurirsi del periodo di comporto.
La Suprema Corte ha ritenuto fondata la censura affermando che le assenze risultavano giustificate.
Sulla scorta di quanto statuito dal più recente indirizzo di legittimità (C. Cass. Sent. n. 5078/2009; C. Cass. Sent. n. 29317/2008; C. Cass. Sent. n. 1774/2000; C. Cass. Sent. n. 6043/2000), deve ritenersi prevalente l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro.
Ciò posto, grava quindi sul datore di lavoro dimostrare di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore al fine di evitare la possibile perdita del posto di lavoro di quest'ultimo per scadenza del periodo di comporto.
La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Potenza in quanto il Giudice del gravame non aveva considerato che, al fine di evitare il licenziamento, l'ordinamento, in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, avrebbe imposto alla società, ponderati i contrapposti interessi, di venire incontro alla richiesta della donna.
In forza dei suesposti principi la Suprema Corte, con l'ordinanza suindicata, ha dunque statuito che: “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, in modo da sospendere il decorso del periodo di comporto e conservare l'integrità del rapporto di lavoro.
A tale facoltà non corrisponde un obbligo del datore di lavoro di accordare le ferie richieste ma occorrono ragioni organizzative di natura ostativa per il rifiuto.
In caso contrario, il licenziamento è illegittimo.”
La pronuncia in commento richiama infatti i principi affermati dalla Suprema Corte con la Sentenza n. 27392/2018 con la quale ha stabilito che: “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un'ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive.”
Per tale ragione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso promosso dalla lavoratrice e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Salerno.